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A fianco delle lavoratrici e dei lavoratori che in Ucraina, in Russia e in tutto il mondo si battono contro il nazionalismo e la guerra imperialista

Carmine Valente

Pubblicato ne "il CANTIERE" numero 7, anno 2 aprile 2022

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In Ucraina si combatte l'ennesima sporca guerra tra potenze imperialistiche e al riguardo la nostra posizione è netta e non ammette fraintendimenti.

La Russia di Putin sta conducendo una guerra di aggressione brutale dove, come oramai si assiste in analoghi scenari attuali e di decenni passati, le vittime più numerose si registrano tra la popolazione civile, spesso ostaggio tra i belligeranti.

Per potersi orizzontare, però, occorre scavare sotto la coltre di menzogne che da una parte e dall'altra si getta sulla verità nel tentativo di manipolare le popolazioni e arruolarle sull'uno o l'altro fronte. È solo così che sarà possibile individuare le responsabilità profonde del martirio della popolazione ucraina e del martirio delle popolazioni di mezzo mondo: Yemen, Palestina, Kazakistan, Iraq, Afganistan, Mali...Jugoslavia.

Per questo noi non indossiamo l'elmetto di Putin e neppure l'elmetto di Zelenski.

Nello scontro sempre più aspro tra l'imperialismo ancora dominante ma in declino, rappresentato dagli Usa con il vassallaggio dell'Europa, e l'imperialismo in ascesa della Cina e in posizione subordinata della Russia che, forte militarmente ma ancora debole economicamente, fatica a trovare una propria dimensione di egemonia nell'area slava e Euro-asiatica, noi ci facciamo portatori di un altro punto di vista, che è quello delle popolazioni che subiscono le conseguenze di questo scontro di dominio.

Rifiutiamo ogni collaborazione con gli eserciti regolari belligeranti e siamo a fianco di tutti quei movimenti di ispirazione libertaria che in vari modi, provano a costruire un tessuto sociale partecipativo, egualitario, anti-capitalista e antinazionalista per abbattere fin da subito ogni forma di dominio, di patriarcato e di oppressione: dal Ciapas zapatista al Rojava, ed oggi con i nostri compagni in Ucraina e in Russia.

Uno scenario che drammaticamente conferma le previsioni dei tanti che in questi anni, sulla base di una analisi delle contraddizioni proprie del sistema economico-sociale del capitalismo, avevano sostenuto la inevitabilità di uno scontro militare tra le potenze imperialiste che si contendono la supremazia economica e militare nelle aree strategiche del mondo.

La terza guerra mondiale, quella che si è combattuta per procura in Asia, in Africa, in Medio-oriente, in Jugloslavia, quella che spesso ha assunto la forma di guerra a bassa intensità, oggi assume le caratteristiche vere e proprie del conflitto diretto tra blocchi imperialisti che per ora si consuma sulle terre e sul popolo dell'Ucraina.

La globalizzazione capitalista è l'esempio più lampante di quello che definiamo un ossimoro, ovvero l'accostamento di due termini tra loro inconciliabili. La globalizzazione nella sua accezione positiva prevede uno sviluppo su scala mondiale della produzione e del consumo con una accentuazione dell'interscambio economico tra aree che si specializzano in produzioni vocate, ovvero nell'utopismo liberal-democratico un sistema economico in cui il libero mercato trova una propria dimensione cooperante.

Il capitalismo di converso è un sistema economico bulimico-predatorio dove lo sviluppo di una porzione di capitale avviene sempre e necessariamente dal declino e dalla scomparsa di un'altra porzione.

La storia ci ha insegnato che vi può essere guerra senza capitale, ma, come questi giorni di marzo ci insegnano, non ci può essere capitalismo senza guerra, ma ancor di più la guerra nell'arco della storia umana è sempre stata connessa all'idea e alla pratica del dominio.

Le trasformazioni economiche cambiavano il mondo, ma un dato, pur nella sua diversità, rimaneva costante: l'espropriazione del lavoro di una classe a favore di un'altra, dominante. Compito del proletariato è spezzare questa costante.

Per questo ci schieriamo con i lavoratori ucraini e con i lavoratori russi che sapranno individuare nei padroni locali ed esteri i loro veri nemici.

Le conseguenze sui lavoratori italiani

Lasciamo ad altri articoli della rivista l'approfondimento sugli eventi della guerra in Ucraina.

Qui, in questo paragrafo, proviamo a stigmatizzare alcune parziali conseguenze della guerra sulle tasche dei lavoratori e delle lavoratrici italiane.

Emblematicamente ancora una volta nella crisi che sconvolge l'economia il capitale conferma la sua totale assenza di morale; nel mentre in Ucraina si muore sotto i bombardamenti, le grandi holding hanno da subito aumentato verticalmente i prezzi, uno per tutti il prezzo dei carburanti, acquisendo extra profitti sugli ingenti stock di prodotto che normalmente hanno. Per cui se niente impedirà queste operazioni speculative il prezzo al consumo su questi beni, carburanti, farina, olii, ect..., subirà ulteriori rincari allorquando effettivamente vi saranno difficoltà nell'approvvigionamento. Il primo impatto sarà un generalizzato aumento dei prezzi e un ulteriore incremento dell'inflazione che già prima del conflitto, sotto la spinta dell'ingente immissione di liquidità del PNRR, viaggiava in Italia a fine gennaio al 4,8% e a fine febbraio al 5,7%.

I più colpiti saranno le lavoratrici e i lavoratori e in generale tutti coloro che hanno redditi fissi e quei settori della piccola imprenditoria artigianale e commerciale già pesantemente penalizzati dalle conseguenze della pandemia.

Peraltro sul versante dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro in questi mesi si sono chiusi importanti vertenze contrattuali, come quella dei settori pubblici, che però, sulla scia di una logica di salvezza nazionale, hanno fatto registrare incrementi salariali irrisori che non solo non hanno recuperato il sostanziale blocco dei rinnovi negli anni passati, ma come si vede sono stati riassorbiti dall'incalzare dell'inflazione. Ben peggiore la situazione per milioni di lavoratori che non vedono rinnovato il loro contratto nazionale. Uno scenario che dovrebbe suggerire una azione sindacale ben più determinata di quella che in questi mesi è stata messa in campo dalle maggiori centrali sindacali.

L'aumento dei prezzi, nonostante il clima di unità nazionale e di chiamata alle armi che coinvolge tutta la politica istituzionale e parlamentare, ad eccezione di singole posizioni dissonanti, non graverà allo stesso modo sulla popolazione. La retorica del siamo sulla stessa barca non può nascondere il divario di reddito che sempre più amplifica la forbice tra chi è più ricco e chi invece deve fare i conti con la povertà anche se lavora.

Questi aumenti, a consumo costante, genereranno una crescita del prelievo fiscale indiretto.

Maggior gettito che verrà pagato in quantità inversamente proporzionale al reddito. Più basso è il reddito maggiore è la percentuale su questo reddito che va alle tasse. Di seguito alcuni esempi per chiarire quanto affermato.

Il prezzo della benzina che in questi giorni ha superato i 2 euro a litro è dato da un prezzo industriale e da una componente fiscale che, facendo una media delle varie fonti, è di circa il 50% .

Su ogni litro di benzina 1 euro sono tasse. L'incidenza di questo euro su un reddito medio di 30.000 euro è a%, su un reddito di 60.000 euro è a/2%, la metà. Ecco la mitica progressione costituzionale alla quale i più si richiamano.

In generale se si considera che sul totale delle entrate erariali (1)«dati relativi al periodo gennaio – novembre 2021» ammontanti a 441.477 milioni di euro, ben 196.814 milioni sono Imposte indirette, quindi aliquota fissa per tutti, pari al 44,58% del totale è evidente che la tanto decantata progressività dell'imposta (2) è nei fatti largamente disattesa.

Un motivo in più per opporsi convintamente ad ogni tentazione di guerra, sia perché la dove si combatte muoiono soprattutto le popolazioni civili e i giovani obbligati dai loro governi a battersi e sia perchè il costo della guerra, così come già sta accadendo, la pagano, come sempre, i ceti meno abbienti.


(1) Nota tecnica al Bollettino delle entrate tributarie n. 237 – Novembre 2021

(2) Vedasi anche “È possibile una politica fiscale equa? Carmine Valente “il CANTIERE” n.5 anno 2